SUBITO DOPO L'8 SETTEMBRE
QUEL COLPO DI PISTOLA NELLA NOTTE DEL 26 LUGLIO COSI' SI UCCISE
MANLIO MORGAGNI, "SANSEPOLCRISTA" FEDELISSIMO Amico personale
di Mussolini dai tempi dell'interventismo, era Presidente e Direttore dell'agenzia
"Stefani"; non resse al tradimento dei gerarchi del Gran Consiglio
del Fascismo.
Enzo Cavaterra
Nella notte del 26 luglio 43, qualcosa era cominciato
a morire nel cuore di molti, conosciuto che ebbero l'"autodafé"
delle più alte gerarchie del regime fascista. Ma per uno, per uno
soltanto degli innumerevoli delusi, rabbiosi e sconcertati, quella fu anche
l'ultima notte della sua vita. Il gesto assurdo di Manlio Morgagni, è
di lui che si parla, è il più cogente e sconcertante esempio
di quel diffuso stato d'animo e di quei sentimenti sulla soglia dell'abisso
della disperazione che andavano dilagando col trascorrere delle ore di
quella notte ormai vicina all'alba, un'aurora che lui più non avrebbe
conosciuto. E per decisione propria, la più radicale: il suicidio.
Manlio Morgagni era di ottima famiglia romagnola,
fratello di un ufficiale pilota morto in combattimento durante la prima
guerra mondiale. Era stato uno dei così detti "fascisti della
prima ora". Amico personale di Benito Mussolini sin dai tempi eroici
dell'interventismo, partecipò alle riunioni milanesi dalle quali
scaturì il Movimento dei Fasci italiani di combattimento e pertanto
fu uno dei "sansepolcristi", come furono definiti i partecipanti
all'assemblea ambrosiana in piazza San Sepolcro e come tale partecipò
alla Marcia su Roma.
Uomo di grande valore morale e pratico, di specchiata
onestà e di profonda dedizione ma dal carattere schivo, Manlio Morgagni
prestò la sua opera per lunghi anni all'ombra del Duce, che sempre
gli concesse la più ampia fiducia, peraltro ampiamente meritata.
Fu dapprima Direttore amministrativo del Gruppo editoriale de "Il
Popolo d'Italia", quindi Presidente e direttore responsabile dell'Agenzia
di stampa nazionale "Stefani", dalla quale ebbe la notizia, per
lui sconvolgente e ferale, del voto del Gran Consiglio del Fascismo. Quando
ne ebbe conferma nella sua abitazione romana di via Nibby, vergò
la sua ultima lettera a Mussolini e poi portò a compimento il gesto
disperato e sacrificale, sparandosi un colpo di pistola alla testa.
Quelle poche righe scritte con una grafia, che nei
suoi stessi segni devastati dà tutta la misura della vertigine dell'abisso
in cui era precipitato e del deserto del cuore che ormai percepiva in tutta
la sua profondità senza rimedio. Le riproponiamo qui per il loro
e emblematico valore.
Eccole: "Mio Duce! L'esasperante dolore
di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà
quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da
più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà.
La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito
a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando
perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un'invocazione per
la salvezza dell'Italia. Morgagni".
Il 15 ottobre del 1943, costituita che fu la Repubblica
Sociale Italiana, il nuovo Guardasigilli, ministro della Giustizia, Antonino
Tringali Casanuova, inviò a Mussolini l'ultima missiva a lui indirizzata
dal Presidente della "Stefani" prima che si togliesse la vita,
accompagnandola con tre righe, queste: "Duce, Vi trasmetto una
lettera a Voi diretta, rinvenuta dal magistrato nella casa di Manlio Morgagni,
in occasione del suo suicidio avvenuto la sera del 25 luglio u.s.".
In seguito a ciò Benito Mussolini volle personalmente
scrivere a penna l'epigrafe da apporre alla tomba del suo fedelissimo.
Pubblichiamo anche questo testo integrale autografo,
con relativa riproduzione a stampa, avvertendo che la copia in questione
venne redatta il 16 gennaio 1944, XXII° anno dell'Era Fascista. Eccolo:
QUI
NEL SONNO SENZA RISVEGLIO
RIPOSA
MANLIO MORGAGNI
GIORNALISTA
PRESIDENTE DELLA STEFANI
PER LUNGHI ANNI
UOMO DI SICURA INTEGRA FEDE
NE DIEDE MORENDO
TESTIMONIANZA
NEL TORBIDO 25 LUGLIO 1943
E quel "cupio dissolvi" ebbe la spiegazione
più schietta.
STORIA VERITA' N° 12, Maggio-Giugno 1998.